L’intelligenza è una palla

palla

L’intelligenza è una palla! Al piede della società?

Non so, ma ai posteri l’ardua sentenza.

Ora, non avendo ancora raggiunto una certa notorietà nel campo della scrittura e per dimostrarvi che anch’io il fatterello lo so, mi limiterò a fare due citazioni e a esternare poi un mio pensiero: lungi da me volervi convincere a ragionare con la mia testa.

 

La classificazione della pazzia.

I pazzi, alla luce del corpo medico, devono essere collocati tra i sani o i malati? Furono osservati alcuni aspetti caratteristici e classificati: i comportamenti dei pazzi sono aberranti; durante una crisi schizofrenica si scatenano forze che nei manuali di psichiatria sono definite forze al quadrato, non giustificabili dal punto di vista della forza fisica abituale di un individuo; in altri casi, in condizione di catatonia, un soggetto può stare sulla punta di un mignolo per ventiquattro ore e, questa performance, non è praticabile in ordinarie condizioni di vita.

 

Come si spiegano allora questi fenomeni?

Se il riferimento è il corpo oggettivo e teorico voluto dalla scienza e soprattutto, se noi aderiamo passivamente a quel modello di corpo astratto, è chiaro che questi fenomeni non si possono spiegare. Di fronte a casi del genere, gli scienziati e i medici del Settecento elaborano una teoria assolutamente nuova che prende il nome di studio del “morbus sine materia”. Secondo questa teoria, se gli esami clinici di un individuo che appare visibilmente malato non rivelano alcuna patologia, significa che il morbo si annida nella sua anima anziché nel suo corpo.

 

Si era detto quasi tutto, eppure…

Dell’anima si era detto tutto o quasi: che era immortale, e qualche volta anche mortale, che era vicino a Dio, ma anche lontano da Dio, che si salvava, che si dannava. Ma che l’anima potesse ammalarsi, ecco, questo lo si disse solo nel Settecento, quando nacque quella scienza che si chiamò psichiatria, che fu affiancata poi dalla psicologia e infine, dalla psicoanalisi.

 

Nascita della psichiatria

«Il pensiero scientifico occidentale, si fonda sul dualismo tra anima e corpo, spirito e materia, inaugurato da Platone e radicalizzato da Cartesio. Eppure, prima di Platone, il mondo greco e la tradizione giudaico – cristiana “non concepivano l’uomo come un’anima che ha un corpo, ma come un corpo che è in relazione con il mondo”. Se l’assunto epistemologico della psichiatria classica e della psicanalisi freudiana e junghiana si fonda, come ogni scienza naturale, sulla scissione cartesiana, la prassi terapeutica predilige l’approccio fenomenologico che, recuperando il modello antropologico più antico e originario, “si dispone di fronte alla globalità dell’uomo quale si dà nella sua originaria e immediata presenza”.

 

In quest’ottica,

la distinzione tra sano e malato di mente perde rilevanza, mentre diventa importante cogliere le diverse modalità con cui l’io è al mondo. […] “Si tenga ben fermo cosa significa uomo.” […] Questo è il compito che Binswanger, amico di Freud e profondo conoscitore di Husserl e Heidegger, assegna alla psicologia che non voglia ridursi alla psico-fisiologia e perdere così la specificità dell’umano cui è naturalmente ordinata. L’analisi fenomenologica da lui promossa non parte, per comprendere l’uomo, dal dualismo antropologico di anima e corpo inaugurato da Platone, né da quello metodologico che articola quella scissione tra soggetto e oggetto che da Cartesio in poi è stata il cardine di ogni costruzione scientifica.

Il suo punto di partenza

è la presenza umana nel suo originario essere-nel-mondo, senza distinzione tra “sano di mente” e “alienato”, perché sia l’uno, sia l’altro, appartengono allo stesso “mondo”, anche se l’alienato vi appartiene in modo diverso, per differente strutturarsi, nel suo rapporto con il mondo, dei modelli percettivi, comprensivi e comportamentali. […] Alcune forme di alienazione mentale, quali malinconia, mania, isteria e schizofrenia, non sono più considerate in rapporto a uno schema metaindividuale, magari di natura biologica, come la libido freudiana, né in riferimento a un concetto base di “salute” nosograficamente determinata, se non addirittura moralisticamente o politicamente caratterizzata, ma in base a quell’elemento normativo, comune sia al “sano” sia al “malato”, che è il modo propriamente umano di essere-nel-mondo come e-sistenza, come progetto trascendente. […]

Da queste premesse

si deduce che il malato non ha una malattia, ma è al mondo in una modalità che l’esistenza conosce come suo limite, quando non riesce a esprimersi come e-sistenza che si trascende in un suo pro-getto, ma solo come esistenza gettata.»[1]

Divagazione.

Intanto, abbiamo chiarito che l’anima non esiste: per una conoscenza più approfondita, vi rimando alla lettura del mio libro. Ma andiamo avanti. Dicevamo quindi, è la società il limite, non le persone. La gente si ammala perché il proprio IO viene compromesso dai limiti della società stessa: una società che non riconosce (e non è in grado di far stare bene) chi è oltre detti limiti! Una società che ti impegna in un lavoro che non vuoi, che impone valori non nostri, e tanto altro.

Oh mio dio, OH MIO DIO, ma allora è proprio vero:

i sani di mente sono rinchiusi in manicomio,

mentre i pazzi sono tutti fuori!!!] [2]

Continua…

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Author: MKDeS

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